mercoledì 31 agosto 2016

Tecniche storytelling (parte 5): Infodump - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
Qualche settimana fa abbiamo parlato del metoto Show don't tell. In quell'occasione è saltata fuori spesso la parola Infodump, e in ognuna di quelle occasioni ci siamo detti che saremmo tornati sull'argomento. Oggi siamo arrivati al punto e, come premessa, voglio ricordare che l'Infodump è da evitare, punto!

La parola inglese Infodump nasce dall'unione di altre due parole: Information, ovvero informazione; e Dump, che come sostantivo significa cumulo di rifiuti, mentre come verbo significa accumulare.
Il termine nasce dalla cattiva abitudine, in narrativa, di condensare una quantità eccessiva di informazioni in un'unica parte del romanzo. Un po' come i bei capitoli sulla Peste a Milano, o sulla Guerra del Pane, che troviamo ne I promessi Sposi, molto interessanti a livello storico, ma che spezzano la narrazione in modo traumatico. 
Non ho certamente intenzione di criticare l'opera di Alessandro Manzoni perché bisogna anche contestualizzare l'epoca in cui essa fu scritta, un periodo dove l'informazione non girava via internet o attraverso altri media, e spesso - per far conoscere alla gente cosa stava accadendo nel mondo - era uso comune sfruttare anche la narrativa, in qualità - per certi versi - di testimonianza dell'epoca storica in cui si viveva.
Oggi la narrativa nasce in un contesto molto differente, e lo scrittore deve adeguarsi ai tempi in cui vive... Di conseguenza certi metodi sono divenuti, come dire, desueti.
Immagino che molti obbietteranno che in un racconto di fantasia, ambientato in un mondo di fantasia, lo scrittore ha il dovere di spiegare come funziona il suo mondo... Ed è tutto vero: Lo scrittore ha il dovere di spiegare come funziona il suo mondo. Difatti io ho detto che l'infodump è da evitare, non l'info e basta. E c'è modo e modo per informare il lettore. Vediamo in maniera schematica cosa fare e non fare:

Cosa evitare.
  • Il personaggio che fa lo spiegone. Oramai questa attitudine è persino presa in giro dai cartoon della Pixar (n.d.r. Ad esempio qui). A parte il fatto che uno spiegone sa molto di saccente, e gli saccenti stanno spesso antipatici, i dialoghi fatti in questa maniera sanno spesso di 'manierismo' e di 'falso'. E no, non funziona se fate i furbi e usate un dialogo tra più persone per camuffare lo spiegone. Il lettore non è stupido, e se anche lo fosse, proposta in quel modo non capirebbe comunque la spiegazione che tentate di esporre.
    Ok, in certi - forse tutti - gli ambienti di lavoro c'è sempre il collega sapientone che non vede l'ora di dare una spiegazione a un qualunque evento/fenomeno che accade durante la giornata, anche se fuori luogo, ma ditemi voi: questo personaggio lo evitate o lo cercate di proposito?
  • L'interruzione brutale della narrazione. Se per andare avanti nella storia avete bisogno che il lettore sia a conoscenza di qualcosa, non attendete l'ultimo minuto per poi scrivere pagine su pagine di 'spiegazioni'. Infilate le informazioni un po' alla volta, siate lungimiranti e partite alla lontana, magari con un incipit a volo di gabbiano, o spezzando le informazioni su più capitoli, in piccole dosi.
    Il ritmo della narrazione non deve mai subire brusche frenate.
  • Trasformare la voce narrante in un docente universitario. La voce narrante deve essere una guida, non wikipedia.
Cosa fare.
  • Siate sintetici. Scrivete a parte le info che volete inserire nel romanzo. Rileggetele, tagliate le parti superflue. Rileggetele ancora, tagliate gli eccessi. Rileggetele ancora, semplificate quanto è rimasto.
  • Guardatevi una partita di calcio di Holly e Banji. Durerà circa 10 episodi. 90 minuti di partita condensati... no, espansi su dieci episodi da mezz'ora l'uno. Questa non è capacità di sintesi, ma è sicuramente un buon esempio di infodump. Ecco, voi non dovete fare così. State scrivendo un romanzo o il plot di una telenovela? E se Holly e Banji non vi basta, provate a guardare uno scontro qualunque de I cavalieri dello zodiaco. Anche qui l'azione durerà diversi episodi. E anche in questo caso l'azione è spezzata fino alla noia da ricordi d'infanzia, sofferenze, riflessioni filosofiche, polpettoni eroistici da epopea greca, e quant'altro.
    (n.d.r. Chiedo scusa a tutti gli estimatori dei cartoon citati qui sopra ma...).
  • Tagliate, tagliate, tagliate... Non abbiate paura a tagliare. Conservate solo ciò che è funzionale alla storia.
  • Come ho già detto, siate furbi, spezzate le informazioni e spalmatele nella narrazione, evitate i dialoghi che cammuffano lo spiegone, e le voci narranti onniscienti con una certa tendenza a fare i professori. Sappiate dosare con attenzione informazioni e azione. Bilanciate descrizioni, azioni, e informazioni.
La parola chiave è equilibrio. Lo scrittore deve comprendere che oggi i lettori non hanno più la pazienza di un tempo, e che sono abituati alla velocità delle informazioni, a causa dei media, a causa della vita che fanno, e per questo motivo la narrativa deve seguire questo corso e adeguarsi alle esigenze di coloro a cui si rivolge.
Siate al passo coi tempi...

Non demonizzate, ovviamente, l'informazione. Ma evitate che si accumuli, e che spezzi il ritmo narrativo.


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lunedì 29 agosto 2016

Shrek 1,2 e 3 - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Un decrescendo inaspettato. Il primo film, Shrek, era geniale, con tantissimi richiami a favole note e meno note, con un umorismo fine, una ambientazione davvero ben costruita. La storia dell'orco che salva la principessa dal drago, non per sposarla, bensì per poter mantenere la propria casa e non essere cacciato dal principe malvagio. Poi lo scoccare dell'amore, e lo scoprire che un antico maleficio, muta la principessa in orchessa, e... ciuchino! Film perfetto, ottimamente coronato con tanta musica, e un finale a festa davvero speciale.


Il secondo Shrek cavalca la scia del primo. Gli sposi novelli vanno in un paese lontano lontano per conoscere i genitori di lei. Qui compaiono le antiche rivalità, un principe azzurro che vuole a tutti i costi che la principessa sia sua, tanti malefici, strega cattiva, e finale a sorpresa con re ranocchio etc etc 
Film che si guarda volentieri, con ancora alcune trovate geniali, ma che ha perso il mordente del primo. Il Gatto con gli Stivali salva l'intero film. Divertente Q.B. e pace.

Il terzo Shrek era meglio che non ci fosse. Una forzatura che stanca fin da subito. La storia è semplice. Quando il papà di fiona abdica, Shrek rischia di diventare re del Regno Molto Molto Lontano, e non ne ha voglia mezza. Per cui deve trovare un sostituto. Parte con i figli di Shrek che vomitano in continuazione, e si finisce col mischiare favole e leggende, candidando al trono addirittura un giovanissimo Artù. Boh. Manca persino il concerto finale, e i richiami alle fiabe si son persi per strada. Lo scopo è far ridere, ok, ma i primi due film, per lo meno, avevano anche contenuti. No. Lo boccio in toto.

C'è stato anche un quarto film, E vissero tutti felici e contenti. Non l'ho visto, ma segnalo per dovere di cronaca. La trama mostra uno Shrek annoiato che fa un patto con un nano per tornare indietro nel tempo. Non sa che il nano ha altri piani, e difatti, il mondo cambia completamente, e il nano stesso diventa sovrano assoluto di tutto il regno. Poi tocca risistemare l'intera faccenda e... vivere felici e contenti. 

Ecco, probabilmente il decrescendo è dovuto all'altissimo livello con cui era stato realizzato il primo Shrek. Restare a quel livello era dura, e anche le trame complesse non sono sicuramente un punto forte della Dreamworks. Non dico che in casa Pixar avrebbero potuto fare di meglio (n.d.r. Anche lì c'è un calo di idee, visti i sequel orrendi basati su grandi capolavori come ad esempio Cars. Temo persino per il sequel de Alla ricerca di Nemo, che a breve comparirà nei cinema... Solo Toy Story regge bene in tutti e tre i film). Però, dopo il primo, gli altri mi sembrano più una caccia al botteghino, uno sfruttamento del franchise che funziona.

A ogni modo, la quadrilogia completa esiste anche in cofanetto, qui.


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mercoledì 24 agosto 2016

Tecniche storytelling (parte 4): Ritmo narrativo - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
La narrativa è cambiata parecchio negli ultimi anni. Se provate a leggere un libro di due secoli fa (n.d.r. Stavo per scrivere del secolo scorso, ma devo ammettere che se devo prendere in esempio testi di fine ottocento, mi tocca saltare due secoli... E ciò significa che sto invecchiando!), tipo Moby Dick, vi renderete conto che - per quanto queste vicende siano molto 'attive' - possiedono un ritmo narrativo molto diverso da quanto viene pubblicato ai giorni nostri.
I romanzi, in quell'epoca, erano più riflessivi, descrittivi, intensi.
Gli eventi erano descritti minuziosamente, sia a livello emotivo, sia a livello estetico e/o esteriore. C'era respiro!
Oggi la narrativa è molto più diretta. 
Segue canoni molto diversi, quasi fosse una competizione, e il lettore è costretto a ritmi da cardiopalma, o per lo meno, a vivere in prima persona, quasi in tempo reale, quanto sta leggendo. Ciò è forse dovuto alla nostra abitudine verso media più immediati, come la rete, la televisione, e la radio. E' impensabile, ai giorni nostri, che per descrivere un personaggio che sale le scale si impieghino due pagine... Oggi al massimo si usano due paragrafi.

Ciò non significa che oggi non si possa utilizzare uno stile riflessivo, ma bisogna tenere conto di cosa si aspetta il lettore. In pratica, la narrativa è una sorta di specchio di come vive l'uomo. Nell'ottocento la vita era più lenta. Non esistevano le telecomunicazioni. O si parlava a quattr'occhi, o si spedivano lettere, che potevano impiegare settimane/mesi per giungere a destinazione. I mezzi di trasporto erano lenti, si andava a piedi, in carrozza, in nave (a vela). Un viaggio Da Londra a New York poteva impiegare settimane. E anche nel secolo scorso, per quanto già la vita fosse più concitata, i tempi erano comunque meno rapidi di quelli di oggi, specie in epoca pre-internet (n.d.r. Mi rendo conto che i più giovani potrebbero non essere vissuti nel periodo in cui internet non esisteva ma...).
Ecco perché bisogna fare molta attenzione al ritmo narrativo.
Una storia troppo lenta annoierà, e alla lunga farà abbandonare la lettura. Una storia troppo rapida potrebbe invece impedire al lettore di seguire appieno la vicenda. Ci vuole il giusto ritmo... Soprattutto, bisogna saper giocare con esso in modo da tenere sempre agganciato il lettore.

Uno schema di come funziona una gara ciclistica
Come si fa? Pensate a una gara ciclistica, tipo il Giro d'Italia. Non è necessario essere appassionati a questo sport per comprenderne le peculiarità. Peculiarità che possono essere applicate anche in narrativa. Il 'Giro' è costituito a tappe (n.d.r. I capitoli). Ogni tappa ha delle difficoltà e un traguardo. Per vincere una tappa bisogna superare le avversità e arrivare primi. Un ciclista, però, può anche perdere delle tappe, e comunque vincere il 'Giro', visto che per vincere il 'Giro' è necessario avere il tempo complessivo migliore. Per cui, se anche in una tappa il ciclista è in difficoltà e non la vince, se poi nella successiva domina e lascia tutti indietro, rimane comunque in lizza per il titolo finale.

Complicato? Vediamo di semplificare. Il nostro personaggio deve vincere il 'Giro', ovvero deve arrivare in fondo al libro e risolvere il dramma, o l'avventura, o la vicenda che avete inventato. Per far ciò dovrà affrontare delle difficoltà. Queste difficoltà potrebbero essere i traguardi intermedi, ovvero le varie tappe del 'Giro'.  
Gestire il ritmo narrativo della vostra vicenda dovrà ricordare quanto ho scritto qui sopra. Ogni capitolo potrà avere componenti concitate, componenti tranquille (n.d.r. Rimanendo in ambiente ciclistico: tappa a cronometro, tappa con scalata di una vetta, circuito cittadino), in modo da variare i tempi della narrazione. Ci dovranno essere ostacoli, piccoli e grandi, in modo da ottenere una sorta di crescendo graduale che porterà al gran finale.

Un altro modo di visualizzare il modo corretto con cui gestire il ritmo narrativo è quello di Immaginare voi stessi legati a un lettore: Dovete tirarlo fino al traguardo. Se tirate troppo la corda, questa si strappa e perdete il lettore; allo stesso modo, se lasciate che questa corda sia troppo lasca, il lettore non si muove nonostante voi avanziate. In pratica la corda va tenuta tesa al punto giusto così che il lettore avanzi assieme a voi.
La parola d'ordine è equilibrio. 
Ritmi blandi mescolati ad arte con ritmi più rapidi. Dovete lasciare al lettore il tempo per ambientarsi, per comprendere la vicenda, e all'improvviso sorprenderlo con un evento, per poi di nuovo offrirgli il tempo di comprendere cos'è accaduto, per poi gettarlo nuovamente nella mischia.

Siate abili nel gestire i ritmi narrativi delle vostre vicende, e vedrete che i lettori si fidelizzeranno alle vostre storie e al vostro nome. Il segreto è tutto qui.


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mercoledì 17 agosto 2016

Tecniche storytelling (parte 3): Coerenza - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
Quando si decide di scrivere un romanzo, specie se molto lungo, il rischio maggiore è quello di non rimanere coerenti. Accade quando si decide di non aver bisogno di aiuti e si crede di poter scrivere tutto d'un fiato, dall'inizio alla fine, senza preparare strutture e schede personaggi, soprattutto fidandosi della sola memoria, del proprio istinto.

Per essere coerenti dall'inizio alla fine nella scrittura di un testo bisogna avere molto mestiere sulle proprie spalle. Chi è alle prime armi e decide per questo tipo di approccio, lo fa spesso sopravvalutandosi, o anche per pigrizia. Credere di non aver bisogno di un 'metodo' è da - perdonate il termine forte - sbruffoni. Tutti gli scrittori hanno un metodo. E il metodo non è sicuramente quello di sedersi davanti al computer, scrocchiare le dita delle mani, e iniziare a scrivere a ruota libera.
Certo, lo so, temete che strutture, schemi, e schede personaggi possano farvi perdere il ritmo, le idee, e persino la voglia di scrivere. Sono tecnicismi che nulla hanno a che fare con la scrittura. E forse dal vostro punto di vista è tutto vero, e un po' lo è anche dal punto di vista di tutti quanti. 
Nell'immaginario lo scrittore scrive soltanto. 
Nella realtà il suo lavoro è molto più complesso.
Ma com'è possibile perdere di coerenza quando in testa abbiamo perfettamente impressa la storia che vogliamo scrivere? Perché il problema non è la storia, sono i dettagli. E i dettagli sono troppi da ricordare. Così scopriremo che dopo un inseguimento tra auto una delle due svolterà in una curva che poco prima, descrivendo l'ambiente, non esisteva, o che in una scena al chiuso il personaggio principale berrà da un bicchiere tenuto in mano, e che fino a un attimo prima era una penna stilografica.
Sono errori su cui spesso si sorvola, che a volte sono compiuti persino dai professionisti, che scappano persino all'editing più severo (n.d.r. Ma oggi si fa ancora un editing severo sui testi? Ne parleremo in futuro), e che si trovano persino in altri ambienti artistici, come il cinema (bloopers) e i fumetti (n.d.r. nuvoleanomale docet).
Sono errori su cui spesso si sorvola, ma che non scappano all'occhio del lettore. E a seconda del lettore, o ci passa sopra e va avanti, o si pone dei dubbi sulla qualità di quanto sta leggendo, e ne rimane disturbato.

Insomma... A mio parere è meglio essere coerenti.

Però... Però ci sono casi dove l'incoerenza è cercata. Se si tratta di una storia surreale, allora essa può diventare un importante elemento di intrattenimento. Ce lo mostra chiaramente Italo Calvino ne Il barone Rampante, dove spesso il personaggio risolve i propri guai con soluzioni a dir poco surreali (n.d.r. Se non ricordo male, in una scena il Barone è intrappolato in una profondissima buca, e per uscirne torna al proprio palazzo, prende una scala, torna alla buca, e grazie alla scala ne esce vittorioso). Io stesso ho voluto giocare su questo piano ne Gli uomini in Bianco. E' però importante ricordare che, se si intraprende questa strada, si va a firmare un accordo non scritto con i lettori dove certe 'leggi' della narrativa sono violate appositamente per raggiungere uno scopo surreale. Perciò la scelta deve essere esplicita sin da subito, e non usata come alibi nel caso si sia colti in fallo.

Per concludere: in qualunque modo abbiate deciso di intraprendere la scrittura di un romanzo, o di un racconto lungo, cercate di essere sempre coerenti con ciò che scrivete, trovate il vostro metodo, quello a voi più congeniale, ma non sorvolate su questo particolare, perché non è così banale come può sembrare.




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mercoledì 10 agosto 2016

Tecniche storytelling (parte 2): Ostacoli - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
In precedenza abbiamo parlato di Incipit, Svolgimento, e Finale di una storia. Abbiamo affrontato la costruzione dei personaggi. Probabilmente siamo pronti a scrivere la storia che abbiamo in mente, a mettere su carta l'idea che ci ha convinti a scrivere, ma di fronte a noi c'è un'impresa non semplice, dobbiamo confrontarci con un elemento ignoto e imprevedibile: Il lettore potenziale.

La domanda sorge quindi spontanea: Cosa si aspetta il lettore da noi?

L'unica risposta che possiamo dare a questa domanda è quella di non tradire le aspettative di chi legge, aspettative che per certi versi abbiamo costruito noi stessi al momento in cui il romanzo, o il racconto, viene presentato al pubblico. Solitamente un lettore ama essere coinvolto dalle vicende che legge, per cui la storia non deve essere banale, e i personaggi devono affrontare un percorso che sia costruttivo, avvincente, interessante. 
I personaggi, come del resto noi tutti nella vita reale, devono affrontare degli ostacoli.
Qualunque sia la vicenda che state raccontando, ricordatevi che il percorso non deve essere semplice, lineare, immediato. Voi, in qualità di entità superiore, dovrete arrogarvi il diritto di complicare la vita dei vostri personaggi, di farli soffrire, di frenare le loro ambizioni, di costringerli a percorsi tortuosi pur di raggiungere la loro meta. Il vostro racconto dovrà rispecchiare la vita reale, dove la volontà di un singolo e sempre subordinata a fattori esterni imprevedibili e incontrollabili.
Per cui dovrete pensare a ostacoli credibili, difficili, ed eventualmente trovare il modo per far sì che il vostro personaggio riesca a superarli, o ad aggirarli. 

Un esempio estremizzato di questo concetto lo potete trovare nel celebre romanzo d'esordio di Andy Weir (n.d.r. L'uomo di Marte), dove a causa di un incidente fortuito, un astronauta rimane da solo sul suolo di Marte mentre il resto del suo equipaggio abbandona il pianeta sull'unica astronave disponibile. E' spacciato, per lo meno così sembra, perché è impossibile avere soccorsi in meno di tre anni, e le provviste non possono durare così a lungo.
Questa storia di per sé potrebbe essere raccontata in poche pagine, ma l'autore ha ipotizzato un personaggio intraprendente e capace di non scoraggiarsi, o - per lo meno - di non arrendersi all'evidenza. Per cui il romanzo affronta un problema alla volta. Prima aggiusta l'hub. Poi fa l'inventario di ciò che ha a disposizione. Quindi tenta la strada della coltivazione. E poi prova a comunicare con la Terra, eccetera eccetera eccetera.
In pratica il personaggio affronta un ostacolo alla volta.
Se il romanzo per certi versi risulta ripetitivo (n.d.r. Un continuo ciclo tra problemi e loro risoluzione), uno stile narrativo efficace e la curiosità di sapere cosa accadrà in seguito fa sì che la storia funzioni dalla prima all'ultima pagina. 

Per quanto io ritenga che un processo troppo ripetitivo non sia un pregio per la trama, è evidente che nel caso de L'uomo di Marte abbia funzionato egregiamente, visto che ne hanno tratto anche un film. E' mio parere trovare il giusto equilibrio, frapporre situazioni problematiche a momenti più rilassati, senza trasformare la vicenda in una vera e propria corsa ad ostacoli.

Non è neppure vietato far sì che il personaggio non riesca proprio a saltarci fuori. A volte l'ostacolo può essere il punto di svolta, l'elemento che consente a un personaggio di cambiare binario e raggiungere la sua vera meta. Questa soluzione potrebbe sì confondere il lettore, ma anche sorprenderlo positivamente perché lo renderebbe incapace di anticipare le mosse, o prevedere il finale.

E' la strategia che ho usato in uno dei miei racconti, In Catene, dove racconto le vicende di una ragazzina che cerca soldi facili, e che comincia a prostituirsi senza avere nessuno che la protegga. Se all'inizio della vicenda tutto sembra andarle per il meglio, poi compaiono ostacoli insormontabili, da clienti violenti, a poliziotti corrotti, fino a un crollo totale di ogni suo punto di riferimento. E' toccando il fondo che la ragazza troverà poi modo di ricostruire la sua vita, e sé stessa.

In questo caso il personaggio principale si trova sopraffatto da quanto gli accade, e non può nulla per opporsi agli ostacoli che lo circondano. Ne è preda, e ne è vittima senza possibilità di salvezza. Per lo meno ciò è quanto il lettore è indotto a credere.

Diventa quindi evidente che un racconto privo di ostacoli rischia di non funzionare. Lo scrittore deve quindi immaginare la propria vicenda come a una sorta di labirinto, con vicoli ciechi, trappole, e un solo percorso che possa condurre il suo 'eroe' al finale della storia. 
Non si tratta di un videogame, e neppure di un gioco di ruolo, ma della costruzione di una storia che abbia i giusti equilibri. Per ottenere ciò è necessario fare riferimento alla vita normale, alle proprie esperienze maturate nel corso degl'anni, e anche alla fantasia, ovviamente.


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mercoledì 3 agosto 2016

Tecniche storytelling (parte 1): Show, don't tell - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
Avete mai letto un romanzo di Truman Capote? Ecco, lo Show, don't tell è l'esatto opposto.

Va premesso che la tecnica dello Show, don't tell non deve essere presa come una regola assoluta. E' una tecnica narrativa, e per ciò si può scegliere di usarla o meno, a seconda che essa sia nelle vostre corde, o non lo sia.

Ma di cosa stiamo parlando, esattamente? Lo Show, don't tell è uno stile narrativo il cui nome esplica lo stile stesso. E' una tecnica che ha preso piede al giorno d'oggi perché, probabilmente, è più diretto, visuale, per certi versi frenetico, e meno legato alla parola vera e propria. Viviamo in un mondo multimediale, e il testo scritto deve seguirne l'insegnamento, per sopravvivere.
Priorità dello Show don't Tell è quella di mostrare quanto accade, non di raccontarlo.
Questo stile si nota molto quando si ha a che fare con i personaggi. Facciamo alcuni esempi:

  • Tell: Maria era una giovane ragazza slanciata, magra, con gli occhi verdi.
  • Show: Gli occhi verdi di Maria studiarono allo specchio il suo giovane corpo, slanciato, magro, e sorrise soddisfatta di sé.

La prima forma descrittiva è un semplice testo in cui un personaggio viene ritratto attraverso le parole. Nel secondo caso, invece, è il personaggio stesso che si descrive, osservando sé stesso allo specchio, e apprezzando le sue fattezze.
La differenza tra i due stili, in questo banale esempio, dovrebbe già essere lampante ma, proseguiamo con un altra situazione:

  • Tell: Quando Alberto arrivò alla fermata l'autobus era appena partito.
  • Show: Alberto vide in lontananza l'autobus già in sosta davanti alla fermata. Corse come un forsennato per cercare di raggiungerlo, ma se lo vide sfuggire dalle dita. Quando ormai era lì per raggiungerlo il mezzo partì senza attendere oltre, e il ragazzo si trovò senza fiato a osservare la sua sagoma squadrata allontanarsi lentamente.

Anche in questo caso, il fatto che Alberto abbia perso l'autobus, viene descritta mostrando Alberto correre verso il mezzo nella speranza di riuscire a prenderlo in tempo. Questo è mostrare la scena, piuttosto che raccontarla con una frase che non dona emozioni.
Per certi versi lo Show don't Tell è una scrittura molto cinematografica.
Questa tecnica porta instintivamente a usare ritmi incalzanti, personaggi sempre in azione, eventi su eventi, i quali vengono 'mostrati' così come sono. Questo stile narrativo è tale da inglobare le descrizioni in ciò che sta accadendo, senza interrompere il ritmo della narrazione, sfruttando i sensi dei personaggi, le loro azioni, i loro pensieri.

Lo stile narrativo dello Show don't Tell serve anche a ricordare agli autori di non perdersi in eccessive descrizioni, in un uso sconsiderato di commenti e spiegazioni che andrebbero a discapito degli eventi narrati, spezzando il ritmo del racconto, e fiaccando le emozioni provate dal lettore. E', come ho già detto, una esigenza moderna. Se provate a leggere romanzi di questo tipo vi troverete di fronte a testi dove lo Show don't Tell non è neppure contemplato. Penso a I Promessi Sposi, dove esistono capitoli interi in cui viene spiegata la situazione politica e sociale in cui si svolge la vicenda (n.d.r. Vedi la Peste, o la Lotta del Pane). Ed è per questo che all'inizio di questo articolo ho citato Truman Capote.

Ma come si utilizza questa tecnica? Come ho già anticipato, bisogna sfruttare le azioni, i sensi, e i pensieri dei personaggi. Le descrizioni devono diventare parte attiva della storia. I personaggi non vanno presentati asetticamente, da devono essere conosciuti dal lettore mano a mano che si rivelano nella vicenda, sia attraverso i dialoghi, sia attraverso ciò che fanno e pensano. Allo stesso modo vanno descritte le location, e gli eventi. In pratica bisogna distaccarsi dalle descrizioni pure.
E' la storia che descrive l'ambiente. E' il personaggio che descrive la storia.
Storia, ambiente e personaggi vanno così a formare un triangolo indissolubile che si autoalimenta e su cui non interagiscono elementi esterni. In questo caso, ovviamente, l'Infodump diventa quasi il male assoluto...

Per concludere: Per quanto lo Show don't Tell non sia un metodo imprescindibile (n.d.r. C'è chi si riferisce ad esso come 'regola'), è comunque dato di fatto che esso rispecchi i ritmi della vita odierna, e di conseguenza sia un metodo narrativo più adatto alle corde dei lettori di oggi. Scritture più sofisticate, prolisse, attente al lessico e all'armonia del testo, sono ancora amate, ma di sicuro si discostano da ciò che molti lettori - specie quelli occasionali - oggi cercano.



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